L’Unicef e le Nazioni Unite hanno diffuso un dato di speranza e di fiducia anche se la preoccupazione per il futuro resta inevitabilmente alta. Si è dimezzata dal 1990 la mortalità infantile. Ciò vuol dire che in meno di 25 anni muoiono la metà dei bimbi nel mondo. Il problema è che non è ancora elevatissimo il numero dei piccoli che sopravvive: solo nel 2012 sono stati 6 milioni e il numero di decessi sotto i 5 anni è di 18 mila al giorno.
Il bilancio, sempre che si possa parlare di bilanci affrontando quando si creano delle analisi sulle aspettative di vita dei bimbi, è complessivamente positivo: questa tendenza mostra «progressi sostanziali» verso una riduzione di due terzi della mortalità infantile entro il 2015. È proprio questo uno degli 8 gol di sviluppo del millennio fissati dalla comunità internazionale nel 2000.
Non si può cantar vittoria, perché ovviamente questo obiettivo non risolverà il problema, viste le continue pestilenze nell’Africa sub-sahariana e in Oceania. Considerate, come abbiamo accennato all’inizio del post, che comunque 6,6 milioni di bambini sono morti nel 2012 prima di compiere 5 anni, principalmente per «malattie prevenibili e curabili». Quali sono queste malattie? Per esempio la polmonite, complicanze da parto, diarrea, malnutrizione, ecc. Tutte cose che nel mondo occidentale sono state superate da anni.
Più sono piccoli i bambini più sono deboli: i neonati quindi sono particolarmente fragili e quasi la metà muore nel primo giorno di vita. La situazione più grave è nell’Africa subsahariana, dove c’è il più alto di mortalità infantile nel mondo: 98 morti ogni 1.000 nati, un bambino nato nell’Africa subsahariana corre un rischio 16 volte maggiore di morire prima del suo quinto compleanno di un bambino nato in un paese ad alto reddito. Fa paura, possiamo anche dirlo tra noi mamme.
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