Si ricorre al parto indotto principalmente in due casi: qualora si siano superate due settimane dopo la data presunta del parto o quando vi siano seri rischi per la salute della mamma, del bambino o di entrambi. Il parto può essere indotto, nel primo caso, con un massaggio manuale effettuato dalle ostetriche, che mira a stimolare la membrana uterina e che provoca un aumento dell’ormone prostaglandina. Nel caso in cui tale pratica non abbia prodotto gli effetti desiderati si passa all’iniezione, tramite siringa, di un gel di prostaglandine sintetiche somministrato direttamente in fondo alla vagina. Ma quali sono i rischi del parto indotto?
parto indotto
Il parto indotto o prolungato potrebbe provocare l’autismo
Ci può essere una correlazione tra il parto indotto o quello prolungato e la comparsa dello spettro autistico nel bambino? Secondo una recente ricerca si. Nello specifico, in North Carolina, è stato di recente portato avanti uno studio avente per protagonisti 625.000 bambini nati nella zona, negli anni compresi tra il 1990 e 1998. Dopo un’attenta analisi si è scoperto come nei piccoli nati a seguito di parto indotto o parto prolungato ci sarebbe un rischio maggiore del 23 % di essere colpiti da autismo, e ciò in maggiore misura nei bambini di sesso maschile.
Quando il termine è scaduto
Il termine è scaduto, la data presunta del parto è ormai passata e il bimbo non vuole saperne di venire al mondo. Questo suscita spesso nelle future mamme, soprattutto se alla prima gravidanza, molte ansie e preoccupazioni. Un ritardo del parto, però, non indica per forza che qualcosa non va e non dovrebbe, quindi, agitare la donna in dolce attesa. Innanzitutto, la data del parto, stabilita dal ginecologo, è solo presunta ed indica approssimativamente lo scadere del termine. Non sempre, infatti, è possibile stabilire con esattezza quando sia avvenuta l’ovulazione, soprattutto in presenza di cicli lunghi ed irregolari. Se la gestante, inoltre, ha avuto in famiglia casi di gravidanza oltre il termine è più probabile che segua anche lei lo stesso percorso a causa del fattore familiarità.
Non bisogna dimenticare, inoltre, che la mente riveste un ruolo primario sull’andamento ormonale e il condizionamento psicologico può influire sulla gravidanza, ritardando anche il parto.
Gravidanza oltre il termine, che fare?
Come ben sapete, la gravidanza dura all’incirca quaranta settimane, ovvero più o meno nove mesi; è tuttavia difficile stabilirne il termine esatto a meno di non conoscere con precisione il momento in cui è avvenuto il concepimento. Il ginecologo stabilisce infatti una data presunta del parto che ha scopo puramente indicativo e spesso i bambini nascono qualche giorno prima o dopo quello indicato.
Se poi il piccolo per nascere attende più di qualche giorno oltre la data presunta questo è spesso per la futura mamma fonte di grande ansia e preoccupazione. In realtà però è piuttosto comune, soprattutto per le primipare, che questo accada; tuttavia il ginecologo, superata la quarantesima settimana di gravidanza, effettua alcuni controlli volti ad assicurarsi che il piccolo stia bene e non risenta della prolungata permanenza dentro al pancione: il monitoraggio, l’ecografia, e l’amnioscopia.
Monitoraggio
Il monitoraggio consiste nella registrazione del battito cardiaco del bambino attraverso il cardiotocografo; allo stesso tempo si rileva l’intensità di eventuali contrazioni uterine. Si tratta di un esame del tutto indolore che si effettua mediante l’applicazione sul pancione di una di fascia collegata ad un apparecchio che traccia il battito cardiaco del bambino.
Le tecniche del parto indotto
Le tecniche del parto indotto hanno lo scopo di dilatare il collo dell’utero e dare così avvio alle contrazioni o a mantenerle efficaci, dopodiché il travaglio procede in modo regolare, anche se può succedere che si possa evitare il parto operativo oppure il taglio cesareo.
Il metodo che per primo deve essere applicato è quello con le prostaglandine, perché permette alla partoriente di muoversi; alla donna vengono somministrate delle prostaglandine sintetiche che hanno la capacità di dilatare il collo dell’utero e di indurre così le contrazioni e il travaglio. Di solito sono sufficienti due somministrazioni per provocare l’inizio del travaglio.
Se le contrazioni e quindi la dilatazione del collo dell’utero tardano a manifestarsi, nonostante l’infusione di prostaglandine, il ginecologo o l’ostetrica possono somministrare per via endovenosa, tramite una flebo, l’ossitocina, che va tenuta per tutta la durata del travaglio per mantenere costanti le contrazioni. Può essere anche utilizzata se si presenta una diminuzione delle contrazioni alla fine del periodo di dilatazione del collo dell’utero o nel periodo espulsivo quando la mamma deve impegnarsi nella fase di spinta.
Parto indotto e pilotato, ovvero quando il bimbo tarda a nascere
La gravidanza dura in media 40 settimane e un neonato viene considerato a termine se nasce tra la 38ª e la 42ª settimana di gestazione. In genere, però, alla 41ª settimana più 3 giorni il ginecologo, se il travaglio non si è ancora avviato spontaneamente, o non è efficace per far nascere il bebè, e anche se la futura mamma sta bene, decide di intervenire perché la salute del piccolo non deve essere compromessa dal mal funzionamento della placenta, cioè l’organo che nutre e ossigena il feto durante i nove mesi; invecchiando, infatti potrebbe non garantire più il giusto apporto di ossigeno al bambino.
A volte è il travaglio stesso che non ha inizio, altre volte esso si è avviato in modo spontaneo ma le contrazioni non sono efficaci per far dilatare progressivamente il collo dell’utero e stimolare l’inizio delle contrazioni o per mantenerle efficaci. I farmaci inutilizzati non causano alcun problema né per la mamma né per il bebè, però è importante monitorare il travaglio ad intervalli regolari per verificare la dilatazione del collo dell’utero e la salute del piccolo.
In genere, si induce il parto se la gravidanza supera la 41ª settimana più 3 giorni, se la futura mamma ha un aumento della pressione o se si verifica la rottura delle membrane amniotiche, cioè quelle che costituiscono il succo amniotico, prima della comparsa del travaglio per un periodo superiore a 24-36 ore, in presenza di diabete gestazionale o di gestosi, una malattia caratterizzata da pressione alta, gonfiori e proteine nelle urine.