Quanto conta conoscere più di una lingua straniera? Oggi è fondamentale per trovare lavoro. Non è più un’opzione o una scelta: bisogna conoscere almeno un altro idioma oltre a quello madrelingua. Per essere sicuri di impararla correttamente, è necessario prendere lezioni già da piccolini. Qual è però l’età giusta?
bambini e linguaggio
I neonati sorridono e comunicano già a un mese di vita
Quante volte vi siete sentite dire: non vi vede ancora, riconosce solo il profumo e soprattutto non sorride a te ma agli angeli? Sono i classici luoghi comuni sui neonati, soprattutto quelli molto piccoli. Secondo però Caspar Addyman, ricercatore al Birkbeck College dell’University of London (Regno Unito), i bimbi di solo un mese sono già molto attivi in termini di comunicazione: capiscono lo scherzo, il gioco e sanno sorridere.
Parlare con i bambini li aiuta a sviluppare un vocabolario più ampio
Avere tempo di sedersi e parlare in alcune famiglie è davvero un lusso. Ci sono genitori che non riescono a cenare mai con i figli, bambini che consumano i pasti solo davanti alla tv. È un errore, un grave errore, di cui oggi forse non ci rendiamo conto, ma che domani potrebbe danneggiare i nostri piccoli. Dialogare direttamente con i bambini già quando sono nelle prime fasi dell’apprendimento del linguaggio li aiuta ad avere un vocabolario migliore e a capire più velocemente le parole.
I bambini apprendono il linguaggio nel pancione di mamma.
I bambini imparano il linguaggio nel pancione di mamma. Sono ancora là dentro eppure ci ascoltano con attenzione e soprattutto, come piccole spugne, fanno loro tutto quello che avvertono. A sostenerlo è uno studio dell’Università di Washington, che ha mostrato quanto i bimbi di poche ore siano già in grado di distinguere i suoni di una lingua apparentemente sconosciuta.
Come aiutare il bambino a superare le balbuzie
Iniziare la scuola è un primo ostacolo davvero importante nella vita di un bambino, diventa però particolarmente duro se il piccolo soffre di balbuzie. Parlare in pubblico è uno stress per tutti, farlo inciampando in ogni parola può essere davvero faticoso. Purtroppo è un disturbo diffuso, perché tocca l’1% della popolazione e il 5% dei bimbi in età prescolare.
Come insegnare ai bambini a non urlare quando parlano
Il vostro bambino ha il brutto di vizio di urlare? Non vi preoccupate, non è un vizio solo suo. I piccoli attraversano una fase in cui tendono ad alzare tantissimo la voce e per rivolgersi ai genitori e per giocare. Fanno talmente rumore che è difficile parlare al telefono o intrattenere una conversazione serena con altri adulti. Lo so, cari genitori: non è facile insegnare a moderare la voce. Forse, è uno degli scogli più complicati, ma bisogna intervenire.
La prima cosa da fare è non ignorarli. Ci sono persone convinte che non dando attenzione al bambino, questo possa imparare a capire da solo che il suo atteggiamento è sbagliato. Mi spiace, ma non è così. E questa regola vale per le parolacce o per tutti quei comportamenti provocatori. I piccoli sono delle persone e vanno stimolati al ragionamento.
Le pause nei discorsi dei genitori aiutano i bambini a capire meglio le informazioni
Esitare nel formulare una frase è un bene. Spesso quando parliamo ai nostri bambini capita di fare lunghe pause per cercare la parola giusta o un modo semplice per farci capire, non preoccupatevi questo modo di argomentare è più che positivo e non crea confusione nel piccolino. Lo sostiene il Baby Lab dell’Università di Rochester, una sezione dell’ateneo specializzata nelle prime fasi dello sviluppo umano, all’interno del dipartimento di scienze cognitive.
Le pause aiutano a imparare a parlare e poi danno il tempo al bambino di elaborare il concetto. Per giungere a questa tesi, c’è stato uno studio su bambini dai 18 ai 30 mesi. Durante l’esperimento sono state valutate le esitazioni, gli stop, spesso del tutto involontari e abbastanza casuali, di mamma e papà quando parlano ai bebè.
Linguaggio e metafore influenzano il comportamento dei bambini
Genitori, attenzione alle parole da scegliere quando si parla con i bambini. Anche quando si descrivono i personaggi dei racconti: il cattivo della storia (perché è cattivo, come ci si comporta con lui), la bella (è protagonista solo per la sua bellezza o per altro), l’eroe (cosa ha fatto per essere coraggioso), etc. Perché?
L’uso del linguaggio è importante per l’orientamento del pensiero: nel senso, attraverso il modo di usare le parole, di scegliere il registro linguistico si trasmettono tradizioni e culture, ma anche abitudini comportamentali nei confronti di aspetti della vita e della società. Il linguaggio agisce sui nostri comportamenti, sulle nostre scelte e sui modi di percepire la realtà; insomma il linguaggio influenza ed educa.
I genitori che si rapportano e parlano con i figli, rispondendo ai loro primi “perché” e spiegando loro situazioni e significati, dovrebbero considerare questo fatto, destinando particolare attenzione inoltre all’uso delle metafore insite nei discorsi o nelle narrazioni di realtà o di fantasia rivolti al bambino.
Il bambino conosce la matematica sin da piccolo
Anche se qualcuno (io, ad esempio) non l’avrebbe mai detto, sembra che il genere umano la matematica se la porti dentro. Secondo la maggior parte dei neuroscienziati infatti, leggo su una rivista specializzata, l’uomo possiede un “senso dei numeri” innato e indipendente dal contesto socio-culturale in cui vive. Tali, presunte, doti matematiche si sarebbero evolute nel corso di centinaia di migliaia di anni, conferendo così all’uomo la capacità di dominare sulla natura e sugli altri animali.
A dimostrarlo diversi studi che hanno permesso di rilevare che i bambini sotto l’anno di età sono in grado di valutare quantità da uno a quattro, senza naturalmente conoscere i numeri, indicando istintivamente immagini che ritraggono tre persone mentre vengono fatte ascoltare loro tre voci. Altre ricerche hanno invece evidenziato la capacità del bambino di eseguire semplici operazioni matematiche valutando quanto spazio occupano gli oggetti in base alle loro dimensioni e alla loro quantità. Tutto questo senza che il cucciolo possegga ancora alcun tipo di abilità linguistica.
Gran Bretagna: un bambino su sei a diciotto mesi pronuncia poche parole
Secondo i risultati di una ricerca inglese realizzata da YouGov per BBC a diciotto mesi ben un bambino su quattro non sarebbe in grado di pronunciare quelle venti parole che gli standard internazionali hanno individuato come “soglia minima”. Soglia minima al di sotto della quale si può parlare di un ritardo nel linguaggio.
Questa proporzione quando si prendono in considerazione solamente i maschietti sale fino ad arrivare al rapporto di uno a sei. Comprensibilmente le mamme inglesi sono preoccupate; preoccupazioni ed ansie che stanno iniziando ad avere anche le mamme italiane.