Il secondamento è l’ultima fase del parto. Dopo di quella espulsiva, che si conclude con la nascita del bambino, la donna deve espellere la placenta, che esce per seconda (ecco da che cosa deriva il nome). Avviene di norma pochi minuti dopo il parto. È molto difficile però quantificare, perché si tratta di un evento fisiologico che varia da corpo a corpo (in linea di massima comunque non più di 40 minuti). Non vi dovete però preoccupare, perché le mamme attendono il secondamente con in braccio il loro bimbo.
Come si verifica questa fase? L’espulsione è favorita dalle contrazioni (decisamente meno forti di quelle della fase espulsiva), che anche dopo il parto proseguono spontaneamente. Una volta uscita la placenta e gli annessi fetali, ginecologo e ostetrica controllano che il materiale organico sia intero e che nel corpo della mamma non siano rimasti residui.
Se il secondamento è andato a buon fine, la donna deve comunque restare in osservazione per circa due ore in una saletta adiacente a quella del parto. In molti ospedali, dopo che il papà ha fatto il primo bagnetto al bambino (che viene anche pesato e misurato), restituiscono il bebè alla mamma che prova subito ad attaccarlo. È un processo consigliato dall’Oms per stimolare immediatamente la montata lattea e di conseguenza favorire l’allattamento al seno.
La placenta non è intera: qualche piccolo residuo (o parte della stessa) sono rimasti nell’utero. A questo punto è necessario il “secondamento manuale”, eseguito dal medico. In che cosa consiste? È un raschiamento, che ovviamente necessita di un’anestesia locale: il ginecologo deve intervenire sulle pareti dell’utero per eliminare i residui. Quali sono le cause? L’atonia dell’utero che dopo aver espulso il feto l’utero non si contrae più, spasmi circoscritti, anomalie della confermazione, anomolie di inserzione, anomalie di penetrazione dei villi. In caso di secondamento incompleto non si sa quali siano le cause.
Photo Credit | Thinkstock