Le scuole italiane sono ancora molto chiuse alle culture straniere e i giovani sono bloccati nelle loro esperienze formative. Secondo l’Osservatorio nazionale sull’internazionalizzazione delle scuole e la mobilità studentesca, sono poche le strutture che mettono a disposizione programmi di scambi e sono pochissimi gli studenti interessati a farne. Forse il mondo fa paura, forse c’è solo un po’ di timore a vivere lontano dai genitori o forse sono decisamente troppi gli ostacoli da affrontare.
L’indagine è stata realizzata da Ipsos per conto della Fondazione Intercultura e da questo studio (che ha avuto come campione 402 istituti nazionali) è emerso che il 50% delle scuole ha partecipato a un programma di scambio e che l’indice di apertura all’internazionalizzazione è del 37%. Ovviamente ci sono tanti modi per aprirsi agli altri Paesi, come fare delle vacanze studio, partecipare al gemellaggio della propria cittadina o aderendo a programmi di studio all’estero.
Quest’ultimo passaggio, in linea di massima, viene sfruttato durante l’università. Il problema di base degli studenti italiani è la mobilità: fanno fatica a uscire di casa. Trovano la loro indipendenza molto tardi (e in parte è una questione culturale, in parte una necessità), a differenza di altri giovani europei che lasciano il focolaio domestico da giovanissimi. Si stanno comunque diffondendo le vacanze studio, in decisivo aumento rispetto a due anni fa (+34%).
I Paesi che più gettonati? Stati Uniti, Australia, Regno Unito, ovviamente per lo studio della lingua inglese. Esiste poi un altro problema, di carattere scolastico. Chi sceglie di fare un anno all’estero o un semestre, ha poi difficoltà a riallinearsi con il programma italiano e di solito si collezionano numerosi crediti scolastici, ma non si è sufficientemente preparati rispetto alla media scolastica. Sicuramente questa preoccupazione non permette a molti giovani di partire serenamente e decidono di rimandare l’esperienza a un altro momento. Le lingue più studiate nelle scuole superiori sono l’inglese, seguito dal francese e dal tedesco. Inizia esserci un’apertura, seppur minima, anche al cinese.
[Fonte: La Repubblica]
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