Dalla riforma Gelmini in poi, è il quesito che si trovano ad affrontare tutti i genitori di bambini nati nei primi mesi dell’anno (fino al 30 aprile, per la precisione): lo mando alle elementari con un anno di anticipo, o no? Il mio primo figlio è di febbraio, e quindi l’ardua decisione molto presto toccherà anche a noi. Ho pensato di condividere i miei dubbi con voi, e magari portare – e ricevere – qualche spunto di riflessione per ragionare insieme.
Da qualche ricerca sul web e da molte chiacchiere con educatrici, maestre e altre mamme, emergono due punti di vista nettamente contrapposti.
Chi sceglie di mandare il proprio figlio alla scuola primaria con un anno di anticipo, e dunque a cinque anni e mezzo, lo fa in genere perché ritiene che il bambino sia intellettualmente pronto per questo “salto”; magari è già capace di leggere e scribacchiare, si dimostra interessato e curioso, e quindi il genitore è portato a pensare che nell’ultimo anno di asilo il piccolo potrebbe annoiarsi. Soprattutto, se ha anticipato anche l’ingresso alla scuola dell’infanzia a due anni e mezzo, e quindi l’ha già frequentata per tre anni.
In questo modo, i genitori ritengono di regalare al proprio figlio un’opportunità preziosa, quella di essere “un anno avanti” che, in qualche modo, potrà tornare utile nel corso della carriera scolastica del bambino. E del resto, è stato anche osservato che spesso i cosiddetti anticipatari, o primini, affrontano con molto impegno ed entusiasmo l’avventura scolastica, anche perchè si sentono in un certo senso responsabilizzati e stimolati dalla fiducia che è stata riposta in loro.
D’altra parte, una nutrita schiera di insegnanti, pedagogisti e anche genitori sono di tutt’altro avviso. Intanto, sottolineano che, al di là dell’aspetto puramente intellettivo, ci sono altri elementi che vanno valutati per giudicare se un bambino sia pronto o no ad affrontare la prima elementare. Qui, infatti, agli alunni viene richiesto un grado di disciplina e concentrazione nettamente diverso da quello della scuola materna (pensate solo alle ore che dovrà passate seduto in classe, o al concetto di “fare i compiti”); per quanto sveglio e brillante, un bambino di cinque anni e mezzo potrebbe non essere fisiologicamente pronto per tutto questo. Senza contare, come non mancano di sottolineare soprattutto gli insegnanti, che spesso i genitori tendono a sopravvalutare i loro adorati rampolli, e a ritenerli quindi più avanti di quello che effettivamente sono.
Secondo questa linea di pensiero, pertanto, sarebbe opportuno lasciare al bambino un anno in più di gioco e spensieratezza, ma anche un anno in più per consolidare un certo livello di maturità, e mandarlo alle scuola elementare a sei anni e mezzo. In questo modo, non si troverà nella condizione di dover continuamente rincorrere i compagni di classe più grandi (anche di parecchi mesi!) mettendo anche a rischio la propria autostima in caso di possibili, se non probabili, insuccessi.
Certo è che la scelta è molto difficile e che va attentamente ponderata caso per caso, cercando di osservare il proprio bambino e capire, assieme alle sue maestre, quale sia la strada più giusta, non in assoluto ma per il singolo alunno. Anche in considerazione del fatto che, per i fin troppo noti problemi della scuola italiana, ben difficilmente una classe fortemente disomogenea (come potrebbe essere se venissero inseriti molti anticipatari) potrà ottenere un’attenzione individualizzata o dei percorsi didattici differenziati: i bambini sono sempre troppi, le maestre, il tempo e le risorse sempre troppo pochi.
Ma questa, forse, è un’altra storia.
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