Verso gli otto mesi di vita il bambino comincia, a differenza di quanto accade nei mesi precedenti, a percepirsi come un individuo distinto dalla madre e, allo stesso tempo, impara a riconoscere quest’ultima come figura di attaccamento primaria e a distinguerla da tutti gli altri. Questi due eventi rappresentano una tappa fondamentale del suo processo di sviluppo ma lo portano anche ad avere timori che prima non nutriva; in questa fase infatti la separazione dalla madre, anche per brevi attimi, o il vedersi avvicinato da persone che non conosce rappresentano situazioni che scatenano nel piccolo ansia e paura.
E’ questo il momento della vita del bambino in cui inizia ad apparire meno socievole e meno propenso a giocherellare o a lasciarsi prendere in braccio dagli estranei esprimendo spesso il proprio rifiuto con inconsolabili crisi di pianto che terminano solo una volta ricongiutosi con la mamma. Si tratta, evidentemente, di un comportamento del tutto normale, ed anzi sano, che non deve preoccupare i genitori, nè indurli a pensare che il proprio cucciolo abbia timori non comuni ad altri bambini.
L’angoscia dell’estraneo, d’altra parte, sparirà come è arrivata intorno al dodicesimo mese di vita, quando il bambino avrà ulteriormente consolidato il proprio rapporto con la madre e ne avrà interiorizzato la figura, in altre parole, quando sarà in grado di comprendere che l’allontanamento della madre dal suo raggio di azione o la scomparsa di essa dalla sua vista non significano che si è dissolta nel nulla ma che, semplicemente, si è allontanata e tornerà.
Il primo a parlare di angoscia dell’estraneo come tappa fondamentale dello sviluppo fu lo psicoanalista Renè Spitz; attualmente gli esperti ritengono questa tappa dello sviluppo così importante da sostenere che la socievolezza eccessiva del bambino debba far pensare al mancato consolidamento del rapporto con una figura di attaccamento primaria.
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