Forse non ce ne siamo neppure accorte, ma il parto è diventato via via sempre più medicalizzato e questo non solo perchè la maggior parte delle donne sceglie di partorire in clinica o in ospedale piuttosto che a casa come avveniva un tempo. Oggi infatti la routine del parto presso qualunque struttura sanitaria prevede interventi che non sempre sono assolutamente indispensabili ai quali, come una sorta di reazione a catena, ne seguono altri altrettanto superflui.
Sono infatti davvero poche le mamme che “vantano” di aver fatto nascere il proprio bambino con un parto naturale nel vero senso del termine. Chi di noi non conosce l’induzione al parto, la rottura manuale delle acque (amnioressi), l’episiotomia, la manovra di Kristeller? A uno di questi interventi, o addirittura a tutti, si ricorre con certezza matematica praticamente ad ogni parto; personalmente ad esempio, in occasione della nascita di mio figlio, io sono stata sottoposta nell’ordine a rottura manuale del sacco amniotico, manovra di Kristeller ed episiotomia.
Ma non è tutto qui: in alcuni casi infatti, leggo su una rivista specializzata, non è neppure necessario fare visite ginecologiche frequenti alla partoriente, nè applicare le fasce per il monitoraggio continuo (che ha un dato momento del mio parto io chiesi e ottenni che fossero tolte) le quali sono indispensabili solo nei travagli a rischio. Quanto alle visite ginecologiche invece queste vengono effettuate nella stragrande maggioranza dei reparti di Ostetricia e Ginecologia ad intervalli di un’ora durante il travaglio, mentre secondo le indicazioni dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) le visite in travaglio non dovrebbero essere effettuate a una distanza inferiore di quattro ore l’una dall’altra.
Che dire poi della consuetudine di partorire supine? Peccato però che partorire distese (il 90% delle donne lo fa) sia obbligatorio solo se la fase espulsiva del parto si annuncia particolarmente delicata e che le contrazioni risultino, seppure lievemente, più dolorose.
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