La gravidanza dura in media 40 settimane e un neonato viene considerato a termine se nasce tra la 38ª e la 42ª settimana di gestazione. In genere, però, alla 41ª settimana più 3 giorni il ginecologo, se il travaglio non si è ancora avviato spontaneamente, o non è efficace per far nascere il bebè, e anche se la futura mamma sta bene, decide di intervenire perché la salute del piccolo non deve essere compromessa dal mal funzionamento della placenta, cioè l’organo che nutre e ossigena il feto durante i nove mesi; invecchiando, infatti potrebbe non garantire più il giusto apporto di ossigeno al bambino.
A volte è il travaglio stesso che non ha inizio, altre volte esso si è avviato in modo spontaneo ma le contrazioni non sono efficaci per far dilatare progressivamente il collo dell’utero e stimolare l’inizio delle contrazioni o per mantenerle efficaci. I farmaci inutilizzati non causano alcun problema né per la mamma né per il bebè, però è importante monitorare il travaglio ad intervalli regolari per verificare la dilatazione del collo dell’utero e la salute del piccolo.
In genere, si induce il parto se la gravidanza supera la 41ª settimana più 3 giorni, se la futura mamma ha un aumento della pressione o se si verifica la rottura delle membrane amniotiche, cioè quelle che costituiscono il succo amniotico, prima della comparsa del travaglio per un periodo superiore a 24-36 ore, in presenza di diabete gestazionale o di gestosi, una malattia caratterizzata da pressione alta, gonfiori e proteine nelle urine.
Quando invece il travaglio ha avuto inizio in modo spontaneo ma le contrazioni non sono regolari e il collo dell’utero non si dilata a sufficienza per garantire il passaggio del bimbo, si procede con il parto pilotato; anche in questo caso si somministrano dei farmaci per via venosa, in modo da stimolare le contrazioni dell’utero e velocizzare così il travaglio.
Non sempre si può indurre o pilotare il travaglio; in genere, infatti, non è possibile quando l’utero presenta cicatrici per interventi precedenti, per esempio a seguito di un taglio cesareo o di un’asportazione di miomi uterini, in quanto i tessuti dell’utero cicatrizzati sono più deboli e, se le contrazioni sono molto forti, possono lacerarsi.
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