Abbiamo parlato spesso del parto in acqua, del concetto di naturalità e di come la vasca crei una dimensione sia più soft per la donna e per il bambino. Nel nostro Paese, però, sono ancora pochissime le donne che scelgono, durante la fase espulsiva, questa tipologia di parto. Ricordiamo che l’acqua ha un effetto analgesico e le gravide in travaglio sono invitate a sfruttarne i benefici o con una bella doccia tiepida o con un bel bagno, al fine di rendere più sopportabili le doglie. Stare in acqua però durante l’espulsione è un’altra cosa e sicuramente non è per tutte.
Stavolta non ho dati scientifici alla mano, ma solo la mia esperienza personale. La mia bimba è nata, infatti, in vasca ed è stato meraviglioso. È il mio unico parto, quindi non posso fare dei paragoni, ma posso raccontarvi che cosa voglia dire sfruttare i benefici dell’acqua. Ho travagliato per quasi una giornata intera a casa mia, facendo avanti e indietro dalla doccia.
Sono giunta in ospedale che avevo una dilatazione di 6 cm, quindi ero ancora lontana dal conoscere la mia piccola e soprattutto non si era rotto il sacco. Alla perdita delle acque, mi è stato chiesto cosa volessi fare: una flebo per velocizzare la nascita o entrare in vasca. Ho scelto l’acqua, perché sentivo il desiderio di avere il parto più naturale possibile. Con questa definizione, non intendo che l’acqua sia una dimensione naturale per l’uomo: non siamo mica dei pesci. Semplicemente non volevo l’epidurale (la puntura mi spaventa moltissimo), volevo evitare l’episiotomia, il più possibile le lacerazioni del perineo e la manovra di Kristeller.
Ho avuto la fortuna di portare a termine una gestazione senza la presenza di alcuna patologia o complicanza. In acqua, si è assistiti dall’ostetrica e dal ginecologo, ma a differenza del lettino della sala parto nessuno interviene fisicamente. Sei tu, le tue contrazioni e il tuo bambino, in un ambiente raccolto (la mia stanza era buia, avevo solo due lucine suffuse sul fondo della vasca). Devi fare i conti con te stessa, con i tuoi limiti e con i tuoi dolori, che non sono solo fisici, possono essere dolori dell’anima. Ricordiamo che partorire vuol dire separarsi dal proprio bimbo, almeno fisicamente.
Il ruolo dell’ostetrica è fondamentale, perché ovviamente anche a distanza ti accompagna durante tutto il percorso, indicandoti le posizioni migliori e la respirazione più adeguata. La mia bimba è nata così: dopo due ore dall’ingresso in vasca, il suo papà tagliava il cordone ombelicale. Non l’abbiamo donato, perché non siamo risultati donatori idonei, e abbiamo quindi deciso di stare attaccate finché non ha smesso di naturalmente di pulsare, prendendoci il nostro tempo. Nella vita si va già tanto di corsa, è inutile accelerare.
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