Ci sono donne sconvolte solo all’idea di partorire in casa, donne che invece hanno un piano del parto e vorrebbero tanto avere un’esperienza intima. È così che si torna a parlare di parto tra le mura domestiche, proprio come si usa una volta. È fattibile, è pericoloso, chi può approfittare di questa soluzione?
“Oggi sono circa un migliaio ogni anno i bambini che nascono in casa in Italia. Un fenomeno che interessa solo alcune regioni e pochi genitori, molto determinati a contrastare la medicalizzazione talvolta eccessiva del percorso nascita”.
Lo spiega Maurizio Bonati, responsabile del Dipartimento di salute pubblica dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano. Sabato saranno presentati in Triennali i dati «Nascere in casa si può: noi ci siamo». Sono stati valutati 600 potenziali parti a domicilio assistiti dalle ostetriche aderenti all’Associazione negli ultimi 2 anni, prevalentemente in Emilia Romagna e a seguire in Lombardia.
I dati hanno dimostrato il 74% delle donne seguite ha partorito a domicilio, di questi 8 donne e 11 neonati sono stati trasferiti in ospedale dopo il parto perché necessitavano di assistenza. Tutte le donne e tutti i neonati assistiti non hanno manifestato sequele a distanza. E non è tutto, oltre la metà dei neonati ha potuto usufruire del contatto prolungato della placenta (lotus birth), un modo dolce per entrare nella vita: il cordone ombelicale non viene reciso e il neonato resta collegato alla sua placenta, ricevendo tutto il sangue placentare sino a quando il cordone si separa in modo naturale dall’ombelico del neonato.
Ovviamente le donne che possono usufruire di questa possibilità devono essere signore con parto a termine e gravidanza fisiologico. La condizione ideale è l’assistenza di tutta la gravidanza da parte dell’ostetrica che assisterà il parto, affinché possa accompagnare la gestante e la coppia durante l’intero periodo, sostenere il percorso di salute di tutto il processo attraverso una assistenza non invasiva e appropriata.