Si chiamano nativi digitali e fanno parte della generazione cresciuta a strettissimo contatto con tecnologie e ambienti digitali rispetto ai migranti digitali che sono arrivati solo più tardi e già adulti a contatto con realtà del genere.
Il termine Nativi digitali è stato coniato per la prima volta da Marc Prensky nel 2001 e adesso proprio i nativi digitali sembrerebbero essere le vittime predestinate della dipendenza da videogames, una delle nuove malattie che rientrano nella lista diffusa dall’OMS. La dipendenza da videogames è una malattia che sembra affliggere soprattutto i nativi digitali presi quotidianamente non solo dalle console come Xbox e PS, ma anche da smartphone con giochi, app, quiz e social.
Nel corso dell’Assemblea Generale in corso a Ginevra, l’OMS e i Paesi membri hanno votato a favore dell’adozione del nuovo aggiornamento dell’International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems: anche se il testo verrà reso pubblico solo nel 2022 è anche vero che all’interno delle nuove malattie riconosciute, figura anche il gaming disoder, praticamente la dipendenza dai videogames. Ma in che cosa consiste esattamente il gaming disorder?
In sostanza il soggetto affetto da dipendenza perde il controllo in merito a quanto sta facendo. Il gioco comincia a prendere il sopravvento sulle cose di ordine quotidiano finendo per determinare effetti indesiderati sullo stile di vita corretto del soggetto. La dipendenza da videogames, per essere identificato come tale, deve durare almeno 12 mesi, ma è pur vero che se le condizioni appaiono particolarmente grave, si può parlare anche prima di gaming disoder.
L’antidoto? Gestire le tempistiche dei bambini alle prese con smartphone e giochi tecnologici.
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