Ci sono sentimenti universalmente validi, cose che non variano da paese a paese, nè da cultura a cultura; una sorta di capisaldi della nostra esistenza, attorno ai quali organizziamo la nostra vita, dalla nascita alla morte, dal singolo, alla famiglia, alle istituzioni.
Tra queste cose possiamo certamente annoverare il considerare ingiusto l’omicidio, il furto, la violenza. Tra le massime certezze poi c’è l’amore incondizionato tra madre e figlio.
Eppure ci sono casi in cui questi capisaldi vengono contraddetti, trasgrediti, spazzati via da gesti folli o forse troppo lucidi per essere compresi appieno. Difficile giudicare.
Sto parlando dei casi di omicidio che in questi giorni sono ritornati sulle pagine dei giornali: l’omicidio della madre di 87 anni da parte del figlio di 57 e quello, capovolto, della figlia di 49 anni da parte della madre di 76.
Entrambi gli assassini hanno confessato e ammesso il movente: tracollo emotivo.
Il figlio, Marco Perotta, ha asfissiato la madre con un cuscino, non poteva più sopportare i suoi lamenti, la sua malattia, la dipendenza dal suo capezzale (anche in virtù di tale estrema dipendenza, l’imputato, condannato con una sentenza di primo grado a 8 anni, è stato dichiarato semi infermo mentalmente).
La stessa giustificazione per Concetta Cottone, la madre di Assunta Arceri, affetta da una forma di schizofrenia piuttosto grave, che ha dichiarato con convinzione di aver compiuto un grande atto d’amore, nell’evitare alla figlia ancora strazi e l’infelice incapacità di condurre una vita normale.
Le decisioni degli inquirenti e del corpo giudiziario ci riguardano fino ad un certo punto, mentre a noi donne, madri, figlie, persone in generale, è d’obligo una riflessione su questi avvenimenti, che non sono poi così isolati quanto il nostro sgomento nei loro confronti ci lascia credere.
E’ possibile amare qualcuno fino al punto di ucciderlo?
In questi due casi, le confessioni immediate, l’accettazione della pena, la convinzione di aver compiuto un atto di liberazione e di amore, farebbero pensare che si, è possibile che qualcuno applichi una sorta di eutanasia per liberare colui che si dovrebbe amare più di ogni altra cosa al mondo. O forse quella sorta di liberazione spetta solo a chi ha ucciso, a chi si è sollevato da un peso, da un dovere, da una dipendenza troppo asfissiante.
Ripeto, non è facile giudicare.
Ciò che sembra assodato è che l’amore, quello forte, quello vero, a volte prende strade impervie e sofferte, pur senza sfociare sempre in casi così estremi. Basti pensare alle punizioni, alle imposizioni dei genitori ai figli, ai loro sacrifici per permettergli una vita migliore.