La legge 40, che regola la fecondazione assistita in Italia, è entrata in vigore nel marzo del 2004. A pochi mesi dall’emanazione delle sue linne guida (era il luglio del 2004) l’associazione Luca Coscioni e i Radicali italiani ne chiesero l’abrogazione totale mediante referendum popolare. Il referendum si fece nel maggio del 2005 ma riguardava quattro articoli della suddetta legge e si tradusse in un nulla di fatto per mancato raggiungimento del quorum.
La legge 40 sembrava dunque destinata a rimanere immutata se non fossero intervenute a cambiarla 19 sentenze di tribunale la prima delle quali pronunciata a Cagliari già nel giugno del 2004. E proprio dal tribunale di Cagliari è arrivata giovedì scorso una sentenza che ha disposto la diagnosi pre-impianto e l’analisi genetica presso una struttura pubblica per una coppia fertile portatrice di una malattia geneticamente trasmissibile.
Ma in che modo le sentenze dei giudici hanno modificato l’impianto originario della legge 40? Diversi i tribunali che sono intervenuti sull’obbligo di impiantare tutti gli embrioni ottenuti attraverso la fecondazione assistita permettendo la riduzione embrionaria nel caso la gravidanza plurima rappresenti un rischio per la donna, fino a giungere alla cancellazione da parte della Corte costituzionale di tale obbligo e di quello di non impiantare comunque non più di tre embrioni per volta sancendo così la possibilità di crioconservare gli embrioni cosiddetti in sovrannumero.
Cambiata anche la norma che limitava la diagnosi pre-impianto permettendo solo quella di tipo osservazionale e impedendo la biopsia sull’embrione. Attualmente la diagnosi pre-impianto è possibile in tutte le strutture abilitate alla fecondazione assistita e si sono aperti nuovi spiragli per le coppie fertili affette da malattie geneticamente trasmissibili, le quali sono invece escluse da questa possibilità secondo la legge 40.
Lo scorso agosto infatti la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per violazione dell’articolo 8 della Carta Europea dei diritti dell’uomo in virtù del quale l’esclusione delle coppie fertili dalla diagnosi pre-impianto rappresenta una discriminazione. Tutte le strutture abilitate dovrebbero quindi poter garantire questo diritto ma di fatto questo non accade sempre in quelle pubbliche. Da qui la richiesta della coppia cagliaritana a favore della quale si è pronunciata la sentenza di giovedì scorso.
Resta invece del tutto invariato il divieto di ricorrere alla fecondazione eterologa.
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