La scorsa domenica, 3 giugno, le donne turche sono scese in piazza per protestare contro la riforma della legge sull’aborto approvata nel 1983. Attualmente la legge prevede la possibilità di interrompere la gravidanza fino alla decima settimana di gestazione, limite che con la riforma si intende abbassare a quattro settimane. Uno stadio della gravidanza al quale, come ha spiegato al quotidiano inglese The Guardian il ginecologo turco Mustafa Ziya Gunenc, è impossibile procedere sia per motivi “tecnici” che per motivi legati alla salute della donna. Le proteste sono state guidate da Tugba Ozay Baki, leadere dl Collettivo Femminista di Istanbul, che ha sottolineato come impedire alle donne turche di abortire non farà altro che sancire il ritorno a pratiche abortive truci che mettono in serio pericolo la vita della donna. Porre un limite così restrittivo in termini di tempo infatti equivale ad annullare la possibilità per le donne turche di interrompere volontariamente la gravidanza.
Almeno in maniera lecita. Prima dell’approvazione della legge infatti, continua il dottor Gunenc, su 10mila gravidanze 250 si concludevano con il decesso della madre e in 225 casi su 250 ciò avveniva perchè la donna aveva cercato di procurarsi l’aborto utilizzando sostanze chimiche, fili o penne di animali. Sembra poi che il governo turco non sia disposto a concedere deroghe, non a quelle donne che si trovano in stato interessante per aver subito violenza.
Molte donne, e questo non solo in Turchia, si trovano infatti tristemente costrette ad interrompere volontariamente una gravidanza perchè vittime di stupro o per gravissimi motivi di salute, propri o del feto. Come afferma il dottor Gunenc:
Nessuna donna al mondo vorrebbe mai trovarsi nelle condizioni di dovere abortire. Ma ogni donna dovrebbe avere il diritto di scegliere.
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