L’epilessia sebbene sia una malattia molto diffusa (sono circa 500 mila le persone affette da questa patologia) è ancora in parte sconosciuta; o meglio, le cause che scatenano l’epilessia non sono ancora del tutto chiare. Ed è anche per questo che esistono tanti, troppi pregiudizi su questa malattia; malattia con cui si può (e si deve) convivere bene.
Anzitutto: è possibile una gravidanza per una donna epilettica?
La risposta è sì; tuttavia sarebbe opportuno programmarla e seguire un adeguato controllo medico. Sono molte le donne epilettiche che sebbene desiderino diventare mamme desistono temendo conseguenze per il feto. A questo proposito occorre ricordare che sono possibili maggiori rischi di malformazione nel feto in una donna epilettica rispetto ad una donna che non soffre di questa patologia ma sono sempre contenuti.
I farmaci assunti per controllare le crisi e presi in gravidanza arrivano al feto attraverso la placenta; ricordatevi comunque sia di non interrompere mai di vostra iniziativa l’assunzione di un farmaco (potreste peggiorare la situazione e scatenare una crisi).
Se le crisi sono ancora presenti si consiglia di assumere un solo farmaco per evitare una concentrazione troppo elevata nel sangue ma che nel contempo sia sufficiente per garantire il controllo delle crisi. La donna epilettica che desidera un bambino dovrà nei due mesi che precedono la gravidanza assumere acido folico e continuare almeno fino alla fine della gravidanza. Infatti, come sappiamo l’assunzione costante di acido folico riduce la possibilità di malformazioni nel feto come ad esempio la spina bifida.
Per quanto riguarda il parto spesso non è obbligatorio ricorrere al taglio cesareo; alcune donne optano per questa soluzione per timore di crisi durante il travaglio. Un momento sicuramente importante è rappresentato dal ritorno a casa; perdita di sonno o stress possono causare crisi. Ecco perché il ruolo del compagno in questi momenti risulta essere fondamentale.
L’allattamento è consigliato a tutte le donne che desiderino farlo poiché la dose del farmaco che passa nel latte è bassa rispetto ai vantaggi che si hanno dall’allattamento al seno.
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