Le famiglie italiane hanno in media un solo figlio. Per quale motivo? Prima cosa perché i bambini arrivano sempre più tardi e alla vigilia dei 40 anni si è già fortunati quando arriva un bebè e poi per questioni economiche. Ma siamo veramente sicuri che aver un bimbo unico sia un costo inferiore? Le mamme che mandano i piccoli all’asilo nido pagando delle rate astronomiche sono sicure che sia così. Si risparmia sulla quantità e si investe sulla qualità. La logica dovrebbe essere questa, ma secondo alcune analisi non è propriamente vero.
La mancanza di servizi e i prezzi fuori misura (soprattutto fuori portafoglio) non sono sicuramente un incentivo alla crescita delle famiglie. Pensate che il tasso di fecondità italiano è il più basso di Europa: ci attestiamo a 1,4 contro l’1,9 degli altri paesi dell’Unione. Ma c’è di più. Avere un bambino, per molte donne italiane, significa perdere il lavoro o rinunciarci. Sono molte le mamme che non riescono a rientrare dalla maternità e sono ancora molte le signore costrette a firmare dimissioni in bianco pur di essere assunte.
I costi più gravi però li paga il figlio unico. È lui la principale vittima. Per anni c’è sempre stato un po’ di snobismo nei confronti di questi bimbi senza fratelli che per antonomasia sono più viziati, più egoisti, più coccolati, più seguiti, più soli, insomma più tutto. Non è realmente così. Lo sostiene una ricerca di Daniela del Boca, economista dell’Università di Torino, che ha evidenziato per questi bambini numerosi svantaggi nella formazione.
Non sono realmente i primi della classe. Non riescono poi così bene a scuola e non ha tutti quegli stimoli che dovrebbe invece avere. La colpa? In parte delle mamme, che scelgono di stare a casa, lontane dal mondo del lavoro, non per desiderio reale, ma per necessità. Il risultato? La figura materna è quella di una donna prima di stimoli e frustrata. Daniela del Boca commenta così i risultati del suo studio:
Un figlio solo e la mamma a casa, situazione tradizionalmente ideale per lo sviluppo del bambino; invece, i dati di confronto fra i nostri adolescenti e quelli di altri 57 paesi ci rivelano che l’Italia ottiene uno dei peggiori punteggi nella valutazione delle competenze linguistiche (33esimo posto) e delle abilità matematiche (38esimo posto).
[Fonte: Corriere]
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