La Corte Costituzionale si è riunita ieri per decidere sulla legittimità di quello che è ormai l’unico pilastro ancora rimasto in piedi della tanto discussa legge 40: la fecondazione eterologa, ovvero il ricorso a ovociti e spermatozoi provenienti da donatori estranei alla coppia per la procreazione medicalmente assistita.
La Consulta è stata chiamata a pronunciarsi sulla spinosa questione dopo che tre tribunali (Catania, Firenze e Milano), in risposta al ricorso di alcune coppie, avevano avanzato dubbi circa la costituzionalità della norma. Superfluo aggiungere che le polemiche non si sono fatte attendere; la bioeticista Assuntina Morrella ha firmato, sull’Avvenire, un editoriale infuocato in cui paventa, se cadesse anche l’ultimo baluardo della legge 40, un ritorno al “far west” che avrebbe caratterizzato il periodo precedente alla sua approvazione.
Resta il fatto, a mio modestissimo avviso, che la legge 40 non ha retto. Gli italiani, per lo meno quelli affetti da problemi di fertilità non la volevano e anche se il referendum abrogativo del 2005 non raggiunse neppure il quorum, essa ha finito per crollare, sentenza dopo sentenza. D’altra parte tutti i paletti che fissava sembra abbiano avuto il solo effetto di alimentare il cosiddetto turismo procreativo.
Nel 2011 sono state oltre quattromila le coppie che hanno deciso di andare all’estero per coronare il proprio sogno di diventare genitori e per la metà di essi l’unica speranza era proprio l’eterologa. In alcuni casi, per fortuna molto rari, questa scelta ha condotto le coppie ad orientarsi su centri per la procreazione assistita low cost o comunque meno affidabili di quelli cui avrebbero potuto rivolgersi se avessero potuto restare in Italia con esiti infausti sulla salute del nascituro e della madre.
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