Donne e carriera. Se ne è parlato in occasione di Women in Diplomacy, il convegno internazionale tenutosi a Roma lo scorso 16 luglio presso la sede del Ministero degli Affari Esteri per sostenere e promuovere l’iniziativa del Segretario di Stato Americano Hillary Clinton, Women in Public Service Project, nata con lo scopo di incrementare le presenza femminile nelle pubbliche amministrazioni e in diplomazia.
Al convegno hanno partecipato ministri, parlamentari e imprenditrici; tutte d’accordo sul fatto che per ottenere questo formidabile risultato non bastano espedienti come le cosiddette quote rosa ma è necessario creare le condizioni sociali che permettano alle donne di scegliere questo tipo di carriera senza nulla togliere alla vita personale.
D’altra parte, affermava Madeleine Albright, prima donna a diventare Segretario di Stato Americano, le donne possono avere tutto se lo vogliono e se si “organizzano”. Affermazione con la quale, nei giorni scorsi, si è mostrata in disaccordo Anne Marie Slaughter, ex responsabile del Policy Planning americano, secondo la quale alle donne non è dato fare carriera se non ad un costo molto elevato: rinunciare ad allevare i propri figli o addirittura ad averne.
Il cuore del problema lo conosciamo già: è quasi impossibile conciliare famiglia e lavoro. Un’impresa che consacra molte donne, non solo le super manager, ad atti di eroicità quotidiana. Alle potenti che si sono riunite a congresso per discutere di come incentivare la partecipazione femminile alla gestione della cosa pubblica, vorrei infatti ricordare che ci sono donne, madri e non, che ogni giorno lavorano otto ore per compensi ben più miseri e che alla sera quando tornano a casa distrutte trovano la loro casa tutt’altro che pulita e rassettata ed hanno figli che molto si aspettano da loro.
Ben vengano le donne in politica se sapranno finalmente dare una svolta alla vita delle madri lavoratrici che ogni giorno lottano nell’ombra e possono contare solo su se stesse.
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