A un certo punto arriva per tutti: in genere a partire dai tre anni (a volte dopo, raramente prima), per il nostro bambino inizia un’altra delle fatidiche “fasi” della crescita, che tanto rallegrano la nostra vita di genitori.
C’è stata la fase della nanna nel lettone, la fase dell’ossessione per il ciuccio e la fase del No; c’è stata la paura dell’abbandono, il rifiuto dell’asilo, la pipì a letto e lo sciopero della fame. E adesso arriva la famigerata fase dei perché, e più in generale delle domande a raffica.
E’ il momento in cui il bambino prende confidenza con il linguaggio e, dopo una fase sostanzialmente egocentrica ed ego-riferita, inizia a guardare con maggiore curiosità al mondo esterno. È giusto e normale, quindi, che inizi a subissarci di domande che, guarda caso, non sono quasi mai semplici. Ci sono infatti le domande imbarazzanti (il must: come nascono i bambini?), quelle che toccano ambiti religiosi (chi è Dio?) o più in generale la spiritualità (perché si muore?), e infine ci sono le domande proprio difficili, a cui non siamo in grado di rispondere perché… non lo sappiamo.
Secondo un sondaggio condotto su duemila persone dall’ente “Big Bang Uk Young Scientists & Engineers Fair” (organizzatore della più grande fiera scientifica per ragazzi in Gran Bretagna), due genitori su tre restano spiazzati soprattutto dalle domande di carattere scientifico.
Dal “perché la luna a volte compare di giorno” e “perché il cielo è blu” a “come fanno gli aerei a non cadere” e “quanto pesa la Terra” fino al terribile “perché l’acqua è bagnata”, pare che i genitori si trovino ad affrontare quotidianamente veri e propri esami di fronte ad una commissione esigente e spietata; e quali sono le loro reazioni?
Il 21 per cento inventa una risposta o se la cava con un “nessuno lo sa”. E un 16 per cento particolarmente vendicativo indirizza a tradimento il bimbo verso l’altro partner. Il 31 per cento cerca di prendere tempo e va a documentarsi di nascosto. Uno su cinque resta con una sensazione di frustrazione e inadeguatezza.
In questi casi, ma è solo il mio parere, ritengo che non ci sia niente di male ad ammettere che mamma e papà non conoscono la risposta; in fondo, i bambini non devono necessariamente pensare che i genitori siano onniscienti, credo che a loro basti vedere che siamo molto interessati alle loro domande tanto da… andare a ripassare qualcosa sui libri di scuola (o, in alternativa, a chiedere aiuto all’amico Google!).
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