Lo rivelano i numeri di una recente ricerca dell’Aldai, l’Associazione lombarda dirigenti aziende industriali: da un confronto tra i dati del 2008 e quelli del 2013 la quota dei padri che hanno scelto, dopo la conclusione del periodo di maternità obbligatoria della mamma, il congedo parentale sarebbe passato dal 7 al 12%. Nello specifico sono stati 33 mila i padri che nel 2013 hanno deciso di sospendere la propria attività lavorativa per dedicarsi alla cura dei propri bimbi.
Tutti sappiamo come in Italia la scelta di rimanere incinta incida negativamente sulla vita lavorativa di molte donne, spesso penalizzate e nei casi più estremi discriminate. Volendo parlare di cifre, si assiste ad una riduzione del tasso di impiego di circa il 2% tra le donne con bambini piccoli appartenenti alla fascia di età 20-49.
Fortunatamente tra le innovazioni portate dal decreto legislativo contenente disposizioni in materia di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro approvato il 20 febbraio 2015, per ciò che concerne i congedi di paternità, è stata estesa a tutte le categorie di lavoratori, e quindi non solo a quelli dipendenti come fino a poco tempo fa previsto, la possibilità di usufruire del congedo da parte qualora la madre non possa fruirne.
Ciò al fine di garantire un equilibrio maggiore per ciò che riguarda l’impegno profuso da parte di entrambi i genitori nella cura dei propri figli che si tramuta nella parità di opportunità in ambito lavorativo. Si attende ancora l’applicazione della direttiva europea sui congedi parentali che prevede un periodo minimo di congedo dal lavoro di 4 mesi dei quali almeno uno dovrà essere goduto da ciascuno dei genitori al fine di non incorrere nel rischio che vada perso. La speranza di abbattere, in un certo qual modo, il tradizionale modello che vede necessariamente la madre a casa e il papà al lavoro non è dunque più così improbabile.
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