Possono essere numerosi i motivi per cui un bambino piange e una mamma, dopo già i primi giorni, riesce a intuire le cause dal suono: il linguaggio del neonato è molto più chiaro di quanto non si creda. C’è il pianto di dolore, spesso legato alle coliche, che è un pianto continuo e straziante, non consolatorio.
Piangono perché hanno fame: sembrano quasi delle urla. È una sorta di richiamo, che mette le mamme in allerta e se non hanno il seno pronto e devono scaldare il biberon diventano davvero velocissime, stile pit stop da formula uno. Se il piccolo ha soddisfatto il pacino, è probabile che il bambino voglia essere preso in braccio. In questo caso va coccolato, bisognerà parlargli in modo dolce o dargli il succhiotto, se lo prende ed è abituato.
Poi c’è il pianto di sonno. Può sembrare assurdo, ma la stanchezza è uno dei motivi principali. Ci sono piccoli che si abbandonano alle braccia di Morfeo senza fare resistenza e piccoli invece che hanno bisogno di un aiuto: essere cullati, una mano sulla testa, una ninna nanna. Dopo i sei mesi, la situazione migliora: prima di tutto le coliche sono ormai un lontano ricordo e dovrebbe aver imparato a piangere meno.
Anche dopo questa fase il piccolino però si esprime sempre con il pianto, spesso associato anche al dolore per i dentini che stanno crescendo. Alcuni pediatri sostengono, che il cucciolo con più di sei mesi molte volte piange perché si sente solo e vuole essere preso in braccio: è un po’ una sorta di sindrome dell’abbandono. I neonati percepiscono di non essere una persona sola con la mamma e hanno paura a staccarsi da lei e dalle persone che si occupano della sua crescita. Ci vuole tanta pazienza e soprattutto bisogna avere la certezza che tutto passerà: la situazione può solo migliorare.
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