Mamme, se state impazzendo tra papponi biologici, creme di cereali, liofilizzati ed omogeneizzati, probabilmente non sapete che l’ultima tendenza in fatto di svezzamento si chiama autosvezzamento, o, più propriamente, alimentazione complementare a richiesta.
Già il nome, di per sé, è allettante: auto-svezzamento, quindi il bambino fa tutto da solo? In un certo senso, sì. Ma vediamo in che cosa consiste, nel dettaglio, questo nuovo approccio.
Il presupposto perché si possa avviare l’autosvezzamento è che il bambino riesca a star seduto da solo e che inizi a dimostrare interesse per il cibo: lo guarda con curiosità e comincia ad allungare le manine per portarlo alla bocca. Inoltre, il bimbo deve aver perduto il cosiddetto riflesso di estrusione che hanno tutti i neonati, ovvero il meccanismo (necessario per la suzione al seno) che li porta a tirare fuori la lingua se si stimola la bocca e che li induce in genere a sputare quando si approcciano per le prime volte con il cucchiaino.
Perché queste condizioni siano soddisfatte, è necessario aspettare almeno i sei mesi, in genere anche di più (raramente di meno). Da questo momento in poi, anche se l’alimento principale rimane il latte, materno o artificiale – per questo si parla più propriamente di alimentazione complementare a richiesta – si cominciano a proporre al bambino piccoli assaggi di quello che mangiamo noi, mettendolo a tavola al momento dei pasti assieme a tutta la famiglia e permettendogli di interagire liberamente con il cibo: all’inizio probabilmente lo osserverà e ci giocherà, poi, per curiosità e imitazione, comincerà ad assaggiarlo.
Con tutta probabilità ci vorrà del tempo prima che i piccoli assaggi diventino sufficienti a sfamarlo, ma voi non dovrete preoccuparvi che “finisca il piatto”, come avviene in genere durante lo svezzamento tradizionale: le sostanze necessarie alla sua crescita continuerà a prenderle dal latte, e così sarà finché, con i suoi tempi e assecondando i suoi desideri, pian piano comincerà a mangiare di più a tavola abbandonando gradualmente la poppata.
Alcune precisazioni sono doverose: autosvezzamento non vuol dire che il bambino, dai sei mesi in poi, possa aprire la dispensa e servirsi da solo, e men che meno che possa mangiare tutto e subito in maniera indiscriminata!
I cibi che gli verranno proposti dovranno essere sani e genuini, cucinati in modo adeguato (e, quindi, dovrete mangiare più sano anche voi, il che non è certo un male!), e proposti in un modo per lui accessibile (schiacciato, a pezzetti, a striscioline, etc.). La regola di offrire un cibo alla volta, soprattutto se in famiglia ci sono allergie o intolleranze, è inoltre sempre consigliabile.
In questo modo, il bambino potrà condividere molto presto con la sua famiglia una dieta varia e bilanciata, in maniera graduale e senza inutili forzature, e soprattutto senza passare per le solite brodaglie, polveri, frullatori, rifiuto del cucchiaino e tutto quello che noi mamme seguaci dello svezzamento tradizionale conosciamo fin troppo bene.
Se l’argomento vi interessa, vi consiglio di approfondirlo sul sito www.autosvezzamento.it oppure leggendo i testi: “Io mi svezzo da solo” di Lucio Piermarini e “Baby Led Weaning” di G. Rapley, T. Murkett.
Per maggiore completezza e su segnalazione di una nostra attenta lettrice, vorrei chiarire che l’approccio originale e più ortodosso dell’autosvezzamento (quello di Piermarini) non consiglia, anzi ritiene inutile, l’introduzione di un cibo alla volta per evitare problemi di allergie/intolleranze – addirittura, più recentemente, il pediatra ha affermato che nei bambini con familiarità allergica è consigliabile introdurre prima i cibi più a rischio! Esistono però correnti di pensiero più caute che un po’ si discostano dalle sue linee guida, e naturalmente ogni mamma sceglierà come adattare il ‘metodo’ al proprio bambino.
sono un pediatra, dopo avere sentito anni fa Piermarini parlare di alimentazione complementare a richiesta e aver letto quanto sul sito OMS\WHO ho modificato la mia proposta di divezzamento , comunque rigorosamente al VI mese o più a secondo del bambino. ho discusso per mesi con i miei colloghi pediatri sul nostro forum guadagnandomi accordo solo con un collega. un’altra collega della mia stessa città ha condiviso quanto detto da Lucio ed ha applicato anche lei stessa metodologia.Ovviamente con alcune mamme nonne e baby-sitters, le più timorose. abbiamo studiato un “connubio” fra i due tipi di alimentazione, ma per la maggior parte dei genitori, papà compresi, è stata una rivelazione e uno stimolo ad alimentarsi in maniera sana, ritrovando il gusto della tavola non solo per alimentarsi ma soprattutto per nutrirsi del gusto di stare insieme
@ Treditutto:
Salve,
c’è da dire che non è che Piermarini si sia sognato la notte di dire che non c’è bisogno di seguire un calendario di introduzione degli alimenti, né che ci sia bisogno di aspettare mesi tra l’uno e l’altro:)
In letteratura non c’è scritto da NESSUNA parte che bisogna seguire un determinato calendario (di fatti, pediatra che vai, tabella che trovi e se poi vi all’estero è pure peggio) e anzi, da diversi anni a questa parte la ricerca dice che sì, bisogna introdurre tutto il rima possibile e che nella peggiore delle ipotesi non fa differenza, altrimenti riduce il rischio da allergia.
Insomma, tutto questo papiro per dire che il punto di vista di Piermarini (e di un numero crescenti di pediatri) si basa sulla ricerca, e non su una “moda”.
Inoltre c’è da dire che i concetti di “tabella” e di “calendarizzazione” che tanto ovvi sembrano alla mamma italiana, sono del tutto sconosciuti in Europa. Magari loro hanno altre “fisse”, ma non quelle 😀