Secondo uno studio condotto dai ricercatori della Columbia University, un’iperattività del sistema immunitario materno durante i primi mesi della gravidanza è collegato all’aumento del rischio di autismo. Più precisamente, i ricercatori hanno esaminato i livelli di una proteina, la proteine C reattiva, indicata con l’acronimo CPR, che, se alti, indicano la presenza di una infiammazione sistemica, condizione che insorge quando viè un’iperattività del sistema immunitario dovuta a un’infezione batterica o virale.
Alti livelli di CPR, secondo gli studiosi statunitensi, sono in grado di alterare lo sviluppo del sistema nervoso del feto e più alto è il livello di questa proteina nell’organismo materno, maggiore è il rischio di insorgenza di un disturbo dello spettro autistico. Tuttavia, precisano i ricercatori, i dati raccolti non sono ancora sufficienti per raccomandare un monitoraggio a tappeto dei livelli di CPR in tutte le future madri, mentre bastano a suggerire la necessità di prevenire più efficacemente le infezioni durante la dolce attesa.
Lo studio non ha preso in considerazione dati come l’età dei genitori, la prematurità, il sesso del bambino, il peso alla nascita, precedenti gravidanze, lo statuso socio-economico della madre, considerati invece da altri studi e indicati come possibili fattori di rischio.
I disturbi dello spettro autistico colpiscono 5 bambini su 10mila, in 4 casi su 5 si tratta di maschietti. In genere vengono diagnosticati intorno ai tre anni di età ma manifestazioni del disturbo sono evidenti già in precedenza:
- turbe qualitative e quantitative del linguaggio quali ritardo o assenza del linguaggio verbale, mancata capacità di cominciare o sostenere una conversazione, uso stereotipato o eccentrico del linguaggio (ripetizione di parole, frasi, ritornelli o slogan pubblicitari);
- turbe qualitative e quantitative delle capacità relazionali con tendenza all’isolamento, assenza di mimica, sguardo diretto, gestualità, incapacità di stabilire relazioni adeguate con i coetanei, mancanza di interesse verso ciò che lo circonda;
- uso inappropriato o stereotipato di oggetti, assenza di giochi di immaginazione;
- comportamenti aggressivi verso se stesso e gli altri, iperattività fisica, reazioni abnormi a cambiamenti ambientali anche minimi o delle figure di riferimento.
Solo nel 20 per cento dei casi i genitori riferiscono uno sviluppo normale del bambino nei primi due anni di vita.
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