Secondo i dati dell’OMS (Organizzazione mondiale della sanità) una persona su 150 è affetta da un disturbo dello spettro autistico e molto raramente la diagnosi viene effettuata prima dei due anni di età. Peccato perchè:
La diagnosi precoce, seguita da un intervento sin dai primi mesi di vita, potrebbe essere decisiva e permettere un recupero quasi totale di alcune funzioni comportamentali e ridurre i disturbi nella comunicazione
A sostenerlo è Maria Luisa Scattoni, giovane ricercatrice dell’Istituto Superiore di Sanità presso il quale coordina il progetto “Non invasive tool for early detection of autism spectrum disorders” (Strumenti non invasivi per la diagnosi precoce dei disturbi dello spettro autistico) che partirà nel 2011 e durerà tre anni, con lo scopo di condurre un’osservazione di un gruppo di bambini nei primi due anni di vita e rintracciare possibili indicatori di autismo.
Il progetto si basa su un precedete studio condotto dalla stessa Scattoni nel 2008 su un modello animale che presentava tre sintomi chiave dell’autismo: ridotti livelli di interazione sociale, comportamenti ripetitivi e disturbi nella comunicazione. Nello stesso modello la studiosa ha rilevato dei segni precoci del disturbo, presenti sin dall’ottavo giorno di vita nelle vocalizzazioni ultrasoniche, analogo del pianto del bambino, emesse al momento della separazione dalla madre.
Lo studio italiano coinvolgerà 200 bambini non affetti da alcuna patologia dei quali saranno audio e video registrati il pianto e i movimenti spontanei alla nascita e poi a uno, tre e sei mesi di vita, ma i piccoli saranno monitorati con test psicologici appunto fino ai due anni di età. Con le stesse modalità sarà valutato anche un gruppo di bambini fratelli di bambini autistici per i quali si sospettano caratteristiche genetiche o comportamentali correlabili all’autismo.
Anche se non si sa ancora molto circa le cause dell’autismo, la diagnosi precoce permetterebbe quanto meno di mettere tempestivamente in atto la terapia comportamentale.
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