Abbiamo già affrontato il tema dell’amniocentesi, ovvero quell’esame che permette di diagnosticare se nel feto ci sono delle anomalie a livello dei geni o dei cromosomi; purtroppo, però, l’amniocentesi è un esame invasivo, in quanto viene eseguita introducendo un ago nell’addome della futura mamma, che raggiunge il sacco amniotico per prelevare alcuni millilitri di liquido che contiene delle cellule che poi saranno analizzate in laboratorio. Il maggiore rischio legato all’amniocentesi è che può provocare degli aborti che, secondo una ricerca italiana, si possono stimare nella percentuale dello 0,2%, ovvero un caso su 500.
Sempre questo studio, condotto dal Centro di medicina materno fetale “Artemisia” di Roma, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Prenatal diagnosis, la percentuale di rischio di aborto diminuisce se la donna prima dell’amniocentesi segue una profilassi a base di antibiotici.
Prendere gli antibiotici prima dell’esame serve a combattere i batteri che si trovano nelle vie genitali femminili e che approfittano del prelievo del liquido amniotico per causare infezioni al liquido stesso, provocando la rottura del sacco amniotico. Infatti, il rischio dell’amniocentesi non è tanto nel prelievo in sé, ma nel fatto che il liquido possa infettarsi nei giorni successivi. I ricercatori hanno dimostrato che prendere degli antibiotici a scopo preventivo ridurrebbe la possibilità di infezioni; secondo i risultati della ricerca, con questa tecnica, la percentuale di rischio di aborto scende allo 0,03% ovvero un caso ogni 3.400 donne.
Gli antibiotici usati per l’amniocentesi non sono dannosi per il bambino, in quanto il principio attivo non è in grado di arrivare, se non in piccolissime quantità, al feto, e comunque in misura tale da non provocare danni e da dimezzarsi in poche ore dall’assunzione, ma nelle giuste proporzioni per scongiurare il pericolo di infezioni.
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