Riconoscere le allergie alimentari nei bambini, stando attenti ai sintomi generali, com pruriti, eritemi, oltre che diarrea e problemi intestinali, riniti allergiche e asma, è molto importante.
Non bisogna essere indotti ad associare però a questi sintomi, la presenza sicura di un’allergia alimentare, in quanto in molti casi secondo i pediatri le allergie sono sovrastimate. Solo dopo un’attenta analisi e una diagnosi accurata si devono eliminare gli eventuali cibi allergizzanti.
Anche perché, come dimostra una ricerca condotta su allergici “minorenni” che sarà presentata al Food allergy and anaphylaxis meeting dell’European Academy of Allergy and Clinical Immunology, in corso a Venezia fino a sabato, le allergie alimentari, specie quelle più gravi (quelle cioè che comportano l’esclusione di cibi basilari per la dieta) potrebbero essere causa di depressione e di problemi psicologici nei bambini.
L’indagine, del Centro Regionale delle Allergie Alimentari dell’università di Padova (diretto da Maria Antonella Muraro) permette infatti di concludere che i bambini che soffrono di allergie nella fasce d’età maggiormente interessata da questo tipo di problemi (generalmente tra la nascita e gli 11 anni, anche se i bambini nati nei mesi invernali sono più a rischio), dimostrano disturbi solitamente attribuiti a malattie depressive. In particolare una consistente fetta del campione ha rivelato di non nutrire alcuna curiosità ad assaggiare i cibi nuovi, alcuni di loro finiscono perfino per isolarsi dai coetanei e non partecipano a qualsiasi tipo di festa.
I bambini lamentano inoltre difficoltà nel riuscire a preparare pasti giornalieri senza correre rischi, nel mangiare fuori con gli amici, nell’accettare inviti a pranzo da parte dei coetanei, ma anche nel fatto che le industrie alimentari non si preoccupano di allestire cibi accattivanti per persone con problemi allergici.
Maria Antonella Muraro afferma quindi che dagli studi emerge evidentemente la grave difficoltà vissuta da piccoli che spesso non ce la fanno a venire a patti con la malattia, vivendo in uno stato di continuo allarme, che non favorisce certo la possibilità di crescere e vivere le normali esperienze di vita, al pari dei loro coetanei.
Una delle soluzioni auspicabili prospettate dagli esperti è quella di prevedere istituti, scolastici e non, che vantino un’educazione specifica del personale per la prevenzione e la gestione di problemi di questo tipo, cercando di integrare e non di rendere patologico chi ne è portatore.