Il mio bimbo è venuto al mondo alla fine di Agosto, un sabato mattina che facevano 40 °C. Ad essere sincera i giorni che passai in clinica furono per me di assoluta beatitudine dal momento che, ringraziando il cielo, tutti gli ambienti erano climatizzati, mentre provavo un’immensa compassione per i miei amici e parenti che venivano a trovarmi madidi di sudore e gonfi per l’afa che attanagliava la città ormai da giorni e che non l’avrebbe lasciata per una settimana ancora.
Ma di quell’afa io, appena qualche ora prima, mi ero sentita la vittima numero uno: non bastava il pancione che era cresciuto a dismisura impedendomi di vedere i piedi, la paura del parto ormai prossimo che mi aveva tenuta sveglia ogni notte, i piedi gonfi al punto da rendere necessario un paio di scarpe una misura più grandi, il piccolo che scalpitava prendendo a testate la mia vescica decine di volte all’ora. Anche il caldo afoso doveva arrivare.
Mi sentivo un’animale in gabbia, priva di ogni controllo sul mio corpo. Niente era in grado di darmi sollievo e non stavo bene da nessuna parte; non potevo uscire, rischiavo ogni volta di perdere i sensi, a stare in casa mi sentivo morire perchè il piccolo condizionatore di cui disponevo non mi impediva di sentire il fuoco che proveniva dall’esterno. Neppure una caverna sarebbe stata per me abbastanza fresca e accogliente in quei momenti che passavo ad accarezzarmi il grembo sperando che finissero al più presto.
Eppure, come tutte voi, dovevo andare avanti. Data presunta del parto: 29 Agosto. “Ma sei primipara“ mi aveva detto il mio medico “forse tirerai qualche giorno in più”. E chissà per quale motivo io mi ero convinta che il mio cucciolo avrebbe visto la luce il 4 settembre. Per fortuna però mi sbagliavo e, come spesso accade, entrai in travaglio qualche giorno prima del previsto, in piena notte, come sapete già.
Il caldo continuò a soffocare tutti per alcuni giorni dopo la nascita del bambino, anche dopo il nostro rientro a casa dalla clinica. Io però non lo sentivo più. Il pancione era sparito, i piedoni erano scomparsi e i miei piedi ritrovati rientrarono nelle comode e femminili scarpe di sempre; la pressione si era alzata, il mio corpo era di nuovo mio e lo usai per muovermi nelle stanze della mia casa e lì occuparmi di mio figlio.