Un semplicissimo esame del sangue della futura mamma che consente di poter individuare le eventuali anomalie cromosomiche nel feto attraverso Nativa, il nuovo test prenatale di screening non invasivo (NIPT – Non Invasive Prenatal Test).
Si tratta di un test che consente di poter analizzare i frammenti del DNA del feto ed eventualmente di indicare quando sia necessario effettuare un approfondimento ulteriore con tecniche più invasive come l’amniocentesi o la villocentesi.
Ma come funziona Nativa? In pratica consente di poter individuare delle anomalie cromosomiche nel feto eseguendo un prelievo dal campione di sangue venoso materno.
È indicato per tutte le donne visto che non si tratta di un esame diagnostico invasivo e può essere effettuato dalla 10a alla 18a settimana di gravidanza.
Viene eseguito praticamente in tutti i casi, dalle gravidanze gemellari, alle gravidanze concepite per ovodonazione, alle gravidanze surrogate.
AMNIOCENTESI, COME FARLA E QUALI SONO I RISCHI
In alcuni casi però il test di screening del Dna fetale è particolarmente indicato: quando?
Si consiglia sopratutto se la futura mamma ha più di 35 anni, in caso di esito positivo dello screening del primo o del secondo trimestre (Bi/Tri Test), se la gravidanza è a rischio di aborto spontaneo, se la prima ecografia ha rilevato qualche anomalia e la storia familiare presenta il rischio di anomalie cromosomiche.
I risultati di Nativa sono molto alti come attendibilità, con una frequenza di falsi positivi/falsi negativi inferiore allo 0,1%.
Il test sulle anomalie cromosomiche nel feto Nativa riesce a individuare:
il sesso del nascituro,
e diverse anomalie cromosomiche tra cui
la trisomia 21 (o sindrome di Down),
la trisomia 18 (o sindrome di Edwards),
la trisomia 13 (o sindrome di Patau),
le aneuploidie dei cromosomi sessuali, vale a dire le variazioni nel numero dei cromosomi X e Y.
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