Si vocifera da più parti che la nostra sia una generazione di genitori (ed educatori) permissivi. Non facciamo altro che parlare di quanto sia importante la disciplina e di quanto i nostri figli ne siano carenti; qualcuno si chiede anche se non sarebbe auspicabile tornare al rigore dei nostri genitori, eppure si discute ancora su quanto sia opportuno mettere i bambini in castigo.
Spesso infatti (ovviamente non mi riferisco a casi limite, quelli che costituiscono maltrattamento e che vanno condannati senza se e senza ma) siamo molto reticenti a prendere questo tipo di provvedimento disciplinare in famiglia e condanniamo gli insegnanti che vi fanno ricorso a scuola.
Troviamo ingiusto che un bimbo venga isolato dagli altri o gli venga negata la ricreazione o il gioco libero. Ma il castigo è così terribile? Davvero il bambino rischia di subire un trauma? La risposta pare ci sia ed è: dipende.
Per prima cosa mi preme dire che il castigo applicato ai bambini “difficili”, affetti da un qualche problematica quale, ad esempio, l’iperattività o da disagi di tipo emotivo è inutile e dannoso. Quindi dipende dal bambino, dalla sua situazione personale. Se un bambino ha difficoltà di qualunque natura che gli impediscono di rispettare le regole e di convivere pacificamente con gli altri, va aiutato, non punito. Il castigo deve lasciare il posto ad un intervento di tipo educativo mirato, applicato in casa e a scuola e predisposto con l’aiuto di uno psicologo.
In secondo luogo, bisogna capire quali sono gli intenti di un adulto che prende un provvedimento di questo tipo. Quindi dipende dal motivo per cui si decide di mettere in castigo il bambino: se la motivazione è: “Adesso ti faccio vedere io” è un errore. Il bambino in castigo ci va perchè capisca di avere sbagliato e in cosa, non perchè vogliamo “vendetta” o siamo stanchi o arrabbiati per i fatti nostri.
L’adulto che mette il bambino in un angolo senza spiegargli il perchè, magari in uno scatto di rabbia, non compie un gesto educativo, piuttosto da al piccolo solo la sgradevole sensazione di essere vittima di un’ingiustizia alla quale potrebbe finire per ribellarsi. Più utile invece ricorrere al castigo solo se è veramente necessario e spiegando al bambino il motivo che ci ha portati a questo.
Dipende poi dalla punizione prescelta: è adeguata all’età del bambino? E’ proporzionata allo sbaglio da questi commesso? E soprattutto, ne rispetta la dignità? Che tipo di esempio fornisce chi mette il bambino alla berlina invitando i suoi compagnetti a deriderlo per uno sbaglio o una mancanza (la cronaca ci dice che succede anche questo)?
Infine, dipende anche dalla durata del castigo: qualche minuto è più che sufficiente per un bimbo piccolo.
Ancora più importante poi, è chiedersi se il bambino ha ben chiare le regole. Ci siamo preoccupati di trasmettergli il fondamentale messaggio che esistono alcune regole (poche ma buone) e che vanno rispettate? Solo se l’adulto ha compito questo importante passo preliminare può pretendere che il piccolo si comporti in maniera adeguata. Diversamente, una regolata dobbiamo darcela noi.
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