Lee, tredici anni, è campione della sua scuola di pugilato. Un giorno è tornato a casa dicendo che aveva mal di testa. Tre giorni dopo sua madre, Tracy Jennings, lo ha trovato in preda alle crisi.
E’ stato trasportato di corsa in ospedale dove gli è stato diagnosticata un encefalite, un’infezione che causa il gonfiamento del cervello. Meno di una settimana dopo, lo scolaro campione di boxe è in coma.
I genitori hanno dovuto decidere se sottoporlo all’operazione o lasciarlo vivere in pace quanto sarebbe durato.
Il fatto è che un’operazione di questo tipo era stata eseguita solo una volta prima d’allora e la decisione non era certo semplice, anche perchè se pure sarebbe andata a buon fine, non c’era nessuna sicurezza sul fatto che Lee si sarebbe ripreso, che ci sarebbe stato un pieno recupero. Insomma, i medici non potevano dire se Lee avrebbe potuto subire danni cerebrali o se sarebbe stato in grado di camminare o di parlare di nuovo.
Inoltre il medico Rachel Kneen aveva confessato inoltre che quello era il peggiore dei casi di encefalite che avesse mai visto.
Il lato destro del cervello di Lee era così gonfio che stava iniziando a premere sulle parti centrali che controllano la respirazione e la vita stessa.
Ma i genitori di Lee hanno rischiato.
Due mesi dopo, Lee camminava, parlava e dava anche ganci nella sua stanza d’ospedale.
Ho ritenuto importante riportare questa testimonianza, non solo perché è una bella storia e ogni tanto è bene che qualche lieto fine circoli tra le quotidiane “brutte notizie”, ma anche perché può essere utile a persone che, trovandosi loro malgrado in situazioni di questo tipo, possono trovare nella storia di Lee la speranza e la forza per affrontare una guarigione.