Il mio meraviglioso viaggio in Danimarca mi ha portato a visitare Odense, la città natale del noto scrittore di fiabe Hans Christian Andersen. E’ una cittadina molto graziosa ed impregnata della magia che caratterizza le favole per bambini. Girando tra i vicoli colorati di Odense e tra i suoi innumerevoli musei, ho conosciuto una fiaba molto particolare di Andersen che non avevo mai sentito prima : L’ultimo sogno della vecchia quercia. Ho pensato di riproporvela in quanto ben si addice a questi giorni in cui ci avviciniamo al Natale. Buona lettura!
In un bel bosco, in cima ad una collina, viveva una quercia molto vecchia. Si dice che avesse ben trecentosessantacinque anni di vita. Tutti questi anni, però, non erano poi molti per la quercia visto che un anno corrispondeva pressappoco ad un giorno degli essere umani. Gli uomini si svegliano la mattina, dormono durante la notte e fanno tanti sogni; gli alberi, invece, restano svegli per tre lunghe stagioni e solo durante l’inverno riposano.
Nei caldi giorni di estate, molte fatine avevano danzato intorno alla folta chioma della vecchia quercia, ed erano molto felici, e appena quelle creaturine si fermavano un attimo a riposare sulle grandi foglie della quercia, questa diceva loro «Povere fatine! Vivete solo un giorno! com’è breve e triste la vostra vita!».
«Triste?» rispondevano le fatine «Cosa vuoi dire? Per noi è tutto così straordinario e bello, e noi siamo molto felici!»
«Ma la vostra vita dura solo un giorno –continuava la quercia– poi è davvero tutto finito!»
«Finito?» dicevano le fatine «Cosa significa finito? Anche tu finirai prima o poi?»
«No –rispondeva il vecchio albero- io vivrò ancora per moltissimi giorni: vedete un mio giorno corrisponde a un vostro anno intero. Non potete nemmeno immaginare quanto sia lunga la mia vita!»
« Cara quercia, è vero tu vivi migliaia di giorni, ma noi viviamo migliaia di momenti felici e gioiosi! Ma dicci, quando tu morirai, finirà anche tutta la bellezza del mondo?»
«No» rispondeva la quercia «durerà molto più a lungo di quanto si possa immaginare!»
«Allora –continuavano le fatine– la tua voita è come la nostra, solo che calcoliamo il tempo in modo diverso!»
Un giorno una fatina danzò nell’aria, ed era felice e soddisfatta delle sue meravigliose ali dell’aria mite, del profumo di trifoglio e di rose selvatiche, del sambuco e del caprifoglio, ma anche dell’asperula odorosa, della primula e della menta selvatica; l’odore era così forte che la fatina si sentì quasi ubriaca. Il giorno fu lungo e molto bello, ricco di stupende sensazioni. Quando giunse la sera, la fatina si sentì molto stanca. Le ali non la reggevano più, così si posò su un morbido filo d’erba e si addormentò: era il sonno della morte.
«Povera fatina!» disse la quercia «ha vissuto cos’ poco!»
Ogni giorno d’estate era la stessa storia: la stessa danza, gli stessi discorsi, le stesse risposte, e la stessa fine. L’inverno stava arrivando e la quercia era stanca, doveva riposare.
Il vento cantava: «Buona notte quercia! Buona notte! Cerca di addormentarti! Ti canterò la ninna nanna, ti cullerò. Dormi bene cara quercia! È arrivata la tua trecentosessantacinquesima notte! La neve diventerà la tua coperta, buona notte e sogni d’oro!».
La quercia, cullata dal vento, si spogliò delle sue foglie per prepararsi al riposo del lungo inverno e a sognare molto. Era l’albero più vecchio, più grande e più robusto del bosco: con la sua folta chioma predominava su tutti gli altri alberi e la si riusciva a vedere anche da molto lontano. Tra i suoi rami viveva la colomba, e il cuculo cantava il suo cucù; gli uccelli migratori si riposavano su di lei prima di partire per il mare. Adesso, però, era arrivato l’ inverno: l’albero era privo di foglie.
Era arrivato quasi il Natale quando la vecchia quercia fece il suo sogno più lungo e bello. Era un giorno di festa, l’aria era calda e mite, i raggi del sole attraversavano i rami e le foglie dell’albero, le farfalle variopinte volavano beate e le fatine ballavano e giocavano. Tutto ciò che la quercia aveva vissuto e visto nella sua vita, gli passò davanti, come in una sfilata. Vide cavalieri e dame a caccia nel bosco. Vide soldati con armi e lance cantare e dormire sotto la quercia. Vide amanti e innamorati incontrarsi ed incidere i loro nomi nella sua. Tanto tempo addietro, arpe e strumenti musicali erano state appese ai suoi rami: ora erano ancora li risuonavano al vento.
L’albero senti attraversarsi da una nuova vita, sentì aumentare le sue forze e si fece sempre più grande. Il suo tronco crebbe a dismisura, la chioma si infittì. La quercia aveva un forte desideri di andare sempre più in alto, fino a raggiungere il caldo.
La grande quercia era cresciuta oltre le nuvole! Poteva vedere le stelle che brillavano nel cielo e che ricordavano gli occhi dei bambini, degli innamorati che aveva conosciuto. Che momento fantastico e che felicità! Ma nonostante tutta quella gioia, la quercia provò malinconia e desiderò che tutti gli altri alberi del bosco, le erbe e i fiori potessero crescere insieme a lei. La quercia, nel suo sogno, però, non poteva essere del tutto felice se non poteva avere con sé tutti gli altri. Le foglie del grande albero si mossero seguendo quel sentimento di nostalgia, la quercia tornò al passato e risentì l’odore dell’erba, dei caprifogli e delle viole, e le sembrò di sentire gli uccelli cantare.
La quercia vide che anche gli altri alberi crescevano e si innalzavano in cielo come lei. La betulla fu la più rapida a raggiungere la quercia. Ora tutta la natura del bosco, anche le canne, cresceva per raggiungere la vecchia quercia, e gli uccelli cantavano svolazzandole intorno. Una cavalletta suonava con le ali, i maggiolini rumoreggiavano e le api ronzavano: tutto divenne una festa verso il cielo.
«Il piccolo fiore rosso che si trovava vicino all’acqua, anche lui doveva salire in cielo! –disse la quercia- e anche le campanule azzurre,e la margherite!» «Ci siamo anche noi!» si sentiva rispondere.
«E le asperule della scorsa estate, i mughetti e il melo selvatico? Se fossero ancora vivi, sarebbero potuti venire con noi anche loro!»
«Ci siamo anche noi!» si sentì di nuovo.
«È troppo bello per essere vero!» disse la quercia piena di felicità. «Sono tutti qui con me, grandi e piccoli! Non manca nessuno! Dove è possibile immaginare tanta felicità?»
«Nel regno di Dio si può!» si sentì risuonare nel cielo.
La vecchia quercia, che continuava a crescere e ad innalzarsi in cielo, sentì che le sue radici si stavano staccando dalla terra.
«Adesso si che va meglio! -commentò la quercia- ora non c’è più nulla che mi trattiene su questa terra! Posso volare in cielo fino al Signore. E ho con me tutti i miei cari amici. Grandi e piccoli. Tutti quanti!»
Questo fu il sogno della quercia, ma mentre l’albero sognava si scatenò una fortissima tempesta sia in mare che sulla terra, proprio nella notte di Natale. Le onde del mare si infransero sulla spiaggia, l’albero scricchiolò a lungo, si schiantò e si sradicò dalla terra proprio mentre la quercia sognò che le radici si erano staccate dal suolo. La quercia cadde rumorosamente a terra. I suoi lunghi trecentosessantacinque anni valevano ora come un solo giorno della fatina.
La mattina di Natale la tempesta si era ormai placata. Le campane delle chiese suonarono a festa. Il mare si fece sempre più calmo e su una grande barca che durante la notte aveva affrontato la tempesta si innalzarono bandiere per festeggiare il Natale.
«Guardate! L’albero non c’è più! La quercia, il nostro punto di riferimento sulla terra non c’è più! – dissero i marinai- È caduta sicuramente a causa della tempesta di questa notte. Come faremo ora?»
Fu questo il breve discorso funebre per la quercia, che era ora distesa su un manto di neve. Per lei risuonò l’inno cantato dai marinai, quello del Natale e della vita eterna.,
«Cantate Alleluia, schiere della Chiesa, Questa gioia è senza uguali! Alleluia, Alleluia!»
Tutti coloro che si trovavano sulla nave cantarono quelle parole e quelle preghiere che si innalzarono in cielo, proprio come la quercia nel suo ultimo sogno nella notte di Natale.
Via | Andersenstories