8 marzo, Festa della donna: poche ricorrenze sono in grado, come questa, di spaccare in due l’opinione pubblica femminile. Da una parte c’è chi, con un filo di snobismo intellettuale, aborre qualsiasi forma di festeggiamento: la loro posizione si riassume in genere nel seguente interrogativo: perché deve esistere un solo giorno all’anno dedicato alle donne? E i 364 giorni rimanenti cosa sono, la festa degli uomini?
Dall’altra ci sono invece le donne che non si fanno troppi problemi ad accettare gli auguri di chicchessia mentre organizzano la tradizionale uscita con le amiche, di solito in locali straripanti di donne come loro che per un giorno, appunto, si sono concesse la serata libera.
Eppure, lungi dal voler sostenere il partito dell’8 marzo a base di mimose-e-spogliarellisti-in-perizoma, questa giornata potrebbe essere vista, più consapevolmente, come un’occasione per riflettere su una questione femminile che oggi è quanto mai attuale.
Intanto, ricordiamo che la cosiddetta Festa della donna si chiama in realtà International Women’s day (il sito è estremamente ricco di informazioni e iniziative in proposito) ovvero la Giornata internazionale della donna: è dai primi del Novecento che questo giorno ricorda – o dovrebbe farlo – le conquiste sociali, economiche e politiche delle donne e anche le discriminazioni di cui esse sono state (e sono tuttora) oggetto.
Le donne che sono anche mamme dovrebbero sentirsi particolarmente coinvolte in questo senso.
È vero infatti che molto è stato fatto e molto è cambiato rispetto al passato: mi riferisco, ad esempio, alla nuova con-divisione dei ruoli all’interno dalla famiglia, con un coinvolgimento sempre maggiore dei papà nella cura dei figli.
Ma credo che ci sia ancora molto, moltissimo da fare: perché se è vero che oggi tante mamme possono scegliere di non dedicarsi esclusivamente alla famiglia ma di perseguire anche degli obiettivi professionali, è altrettanto vero che la maternità è ancora vista, dai datori di lavoro ma anche dalle stesse donne, come un ostacolo alla carriera.
Non esistono in Italia delle valide politiche sociali che sostengano la famiglia in questo senso, e se c’è da scegliere da famiglia e lavoro, nel 99% dei casi sarà la donna a rinunciare alla carriera.
E poi vige ancora, sottobanco, la pratica delle famigerate “dimissioni in bianco”, e ci viene continuamente confermato il fatto che, a parità di qualifica, ci sia un netto divario tra gli stipendi di uomini e donne, a sfavore di queste ultime, naturalmente.
E allora oggi, 8 marzo, vi invito a ripensare questa ricorrenza: più che una festa, un’occasione per cominciare (o ricominciare) a impegnarsi per cambiare le cose, ciascuno nel suo piccolo – a partire dall’educazione dei nostri figli, maschi o femmine che siano – e tutti insieme per un progetto più grande, per una parità dei diritti nel rispetto delle differenze.
Perché uomini e donne non sono uguali, ma piacevolmente diversi, e insieme abbiamo tante possibilità di costruire cose nuove.
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